Nel 1555 papa Paolo IV imponeva l’istituzione del ghetto in tutti i territori dello Stato Pontificio. Al ghetto di Bologna fu destinata un’area nel centrale tessuto medievale, compresa fra le attuali via Zamboni e Oberdan. Il ghetto venne separato dalle abitazioni esterne con l’innalzamento di muri che ne limitavano gli accessi a tre soli portoni: uno all’inizio dell’attuale via dei Giudei, uno su via Oberdan in corrispondenza della piazzetta San Simone e Giuda, ed un terzo in via Del Carro davanti alla piazzetta S. Donato.
Così strutturato, il ghetto venne effettivamente chiuso soltanto nel 1566 per imposizione del commissario pontificio Angelo Antonio Amati. Tuttavia, con una bolla del 1569 gli ebrei furono espulsi da quasi tutti i territori direttamente governati dalla Chiesa e gli spazi del ghetto di Bologna furono occupati da nuovi inquilini che pretesero la rimozione di muri e portoni e cancellarono le tracce della presenza ebraica.
Per pochi anni, la nuova Bolla del 1586 riammise gli ebrei in città ma nel 1593 essi furono definitivamente espulsi e poterono tornare soltanto due secoli dopo, nel 1796, all’arrivo dei francesi.
In via dell’Inferno 16 si trova l’edificio che accoglieva la sinagoga: lo ricorda una lapide sull’angolo dello stabile adiacente, insieme alle persecuzioni subite dagli ebrei bolognesi.
L’assetto delle strade interne al ghetto è tuttora in buona parte riconoscibile e in diverse posizioni vi sono stati predisposti pannelli informativi a cura del Museo Ebraico di Bologna (MEB).
Visite guidate a cura del MEB (strutturate sia per utenza scolastica sia per pubblico adulto)
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