In seguito all’istituzione del porto franco (1648) fu riconosciuta la presenza di una comunità ebraica stabile, subordinata al rinnovo decennale dei capitoli che ne regolavano la condotta. Resasi insufficiente l’area del
primo ghetto, istituito nel 1660 intorno a vico del Campo, l’autorità cittadina stabilì nel 1674 che il ghetto fosse trasferito presso la piazza dei Tessitori, accanto alla chiesa di Sant’Agostino. L’area, oggi profondamente trasformata, fu scelta perché già abitata da “gente plebea”, certo disponibile a trasferirsi in altro luogo. Il contestuale rinnovo dei capitoli (1675) poneva alla Comunità condizioni ancora una volta più dure. Molti ebrei lasciarono Genova alla volta di Livorno; dei circa duecento che abitavano in città alla metà del secolo, ne rimaneva ora appena un centinaio. Il timore di ripercussioni sull’economia della città indusse la Repubblica ad alleggerire, almeno nella pratica, il clima di costrizione. Allo scadere dei capitoli, nel 1679, si interruppe di fatto il vincolo di residenza coatta. Negli anni seguenti il gruppo si spostò gradualmente verso la zona del Molo, fra piazza dell’Olmo (oggi, zona piazza Cavour) e le Mura di Malapaga. Qui nel 1707 fu aperta una nuova
sinagoga che rimase in funzione fino all’inaugurazione, nel 1935, del
Tempio attuale. Con l’abrogazione per interessi economici dell’ultimo decreto di espulsione (1737), la Comunità fu riammessa in città nel 1752 e furono definitivamente aboliti ghetto, segno distintivo, prediche e conversioni forzate. Si registrarono in quegli anni riorganizzazione interna e relazioni con altre comunità ebraiche dell’estero, che portarono ad una graduale ripresa economica e numerica. Dopo il periodo napoleonico e ancor di più con la partecipazione all’Unità d’Italia, il gruppo ebbe pieno inserimento nella vita pubblica e nell’industria cittadina.